Quello che colpisce muovendosi per le strade del paese è lo stato di decadenza e abbandono che getta un’ombra tetra su una lingua di costa pur lambita dal sole trecento giorni l’anno. È l’immagine di una piccola cittadina, di quelle che le brochure turistiche tritamente definiscono come “ridenti”, ma è un’immagine quasi spettrale, come testimonia la vista delle sue palme morte, disseminate lungo strade giardini e viali come cadaveri eccellenti del rigoglioso arredo urbano che fu. Quelle non ancora defunte, ora giacciono accasciate su loro stesse, come implose in un perenne autunno. Nelle dissestate casse del Comune non ci sono i soldi per prendersene cura, e un prezioso patrimonio cittadino va estinguendosi di giorno in giorno.
Scalea è una piccola ma piuttosto rinomata cittadina calabrese, le cui radici affondano nella preistoria e che, a partire dal secolo scorso, ha assunto un ruolo di primaria importanza nell’area dell’alto tirreno cosentino, imponendosi come centro per i servizi e il turismo. Ma oggi l’eleganza delle balere degli anni ’60 e l’eco patinata dei rampanti ‘80 è solo uno sbiadito ricordo.
Gli scaleoti tra i 18 e i 40 anni hanno in buona parte lasciato il paese (sono circa 2mila solo gli iscritti all’AIRE – Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero). Disoccupazione e inerzia istituzionale prosciugano il territorio, come l’equivalente moderno dei conflitti che un tempo svuotavano i paesi delle fasce più giovani e prestanti, linfa vitale per lo sviluppo di ogni comunità. Le imprese e le attività commerciali chiudono, e quelle che aprono hanno generalmente un alto tasso di mortalità precoce.
La commissione prefettizia, insediatasi circa un anno fa a seguito dello scioglimento per mafia del consiglio comunale, denuncia “la mancanza di regolamentazione per lo svolgimento di funzioni e l’erogazione dei servizi di base offerti dal Comune, con ricadute che hanno rischiato di portare lo stesso a una dichiarazione di dissesto … A Scalea praticamente non avveniva la raccolta dei tributi”.